Fondazione Symbola: Pubblicato il Rapporto annuale “Io Sono Cultura” – L’Italia della qualità e della bellezza sfida la crisi

Estratto dalla Premessa:

“Da ragazzo ho sempre pensato a me come un umanista, ma a cui piaceva l’elettronica – ha detto Steve Jobs – poi ho letto qualcosa su uno dei miei eroi, Edwin Land di Polaroid, che parlava dell’importanza delle persone che sanno stare all’intersezione fra discipline umanistiche e scienza, e ho deciso che quello era ciò che volevo fare”. Alla metà del secolo scorso in Italia c’era un industriale, Adriano Olivetti, che quell’intersezione la attraversava già, portando la cultura nelle sue fabbriche (famosi i concerti di Luigi Nono o le opere di Guttuso) – e nei suoi prodotti (la Lettera 22 su tutti). Dopo oltre mezzo secolo, una parte importante del sistema produttivo italiano sembra aver fatto propria la lezione di Olivetti: Io sono cultura, realizzato da Fondazione Symbola e Unioncamere in collaborazione con la Regione Marche, racconta tutto questo, e dimostra che oggi la cultura è uno dei fattori produttivi che più alimentano la qualità e la competitività, uno dei motori primari della nostra economia.

Al Sistema Produttivo Culturale e Creativo (industrie culturali, industrie creative, patrimonio storico artistico, performing arts e arti visive, produzioni creative-driven) si deve il 6% della ricchezza prodotta in Italia: 89,9 miliardi di euro. Dato in crescita dell’1,8% rispetto all’anno precedente.

E non finisce qui, perché la cultura ha sul resto dell’economia un effetto moltiplicatore pari a 1,8: in altri termini, per ogni euro prodotto dalla cultura se ne attivano 1,8 in altri settori. Gli 89,9 miliardi, quindi, ne ‘stimolano’ altri 160 per arrivare a quei 250 miliardi prodotti dall’intera filiera culturale, il 16,7% del valore aggiunto nazionale, col turismo come primo beneficiario di questo effetto volano. Un effetto volano competitivo confermato anche dal fatto che le aree geografiche dove maggiore è il fatturato della cultura sono anche quelle dove è forte la vocazione manifatturiera.

Il Sistema Produttivo Culturale e Creativo (da solo, senza considerare gli altri segmenti della nostra economia) dà lavoro a 1,5 milioni di persone, il 6% del totale degli occupati in Italia. Dato anch’esso in crescita: +1,5%.

Guardando alla dinamica dei settori, il dato eclatante è che, a differenza del quinquennio precedente, tutti i segmenti registrano bilanci positivi, sia in termini di valore aggiunto che di occupazione. Le performance più rilevanti rimangono connesse ai segmenti che già negli ultimi cinque anni avevano mostrato segnali positivi, come il design (+2,5% per valore aggiunto e +1,9% per occupazione), i videogame (+2,5% per il valore aggiunto e +1,7% per occupazione) e la produzione creative driven (+1,7% per valore aggiunto e +1,5% per occupazione); cui si aggiungono, in particolare, le attività legate al settore dell’audiovisivo (+2,2% per valore aggiunto e +1,4% per occupazione), delle performing arts (+2% per valore aggiunto e +2,2% per occupazione) e del patrimonio (+2,1% per valore aggiunto e occupazione).

Pur restando il talento il cuore di tutti questi settori, segnaliamo che al dinamismo descritto ha contribuito anche il significativo incremento dei livelli di istruzione richiesti alle professioni culturali e creative. Tra il 2011 e il 2016 coloro che operano nel Sistema Produttivo Culturale e Creativo e sono in possesso di una laurea sono aumentati dal 33 al 41%: valore nettamente superiore al resto dell’economia, in cui si è registrato un incremento inferiore a 3 punti percentuali (dal 17 al 20%). Segno che il comparto ha individuato anche nella crescita delle competenze una delle risposte alla crisi che ha investito orizzontalmente tutti i settori, in particolar modo quelli legati al Core cultura.

Se poi guardiamo oltre il perimetro delle imprese culturali e creative, a beneficiare in modo rilevante della spinta della cultura è in particolar modo, come c’è da attendersi, il turismo: più di un terzo (il 37,9%) della spesa turistica nazionale è infatti attivato proprio dalla cultura. Per questo – per ragioni prima di tutto relative alla conservazione dell’identità e poi di rilancio dell’economia turistica – è assolutamente rilevante il fatto che, per i prossimi 10 anni, l’intera quota dedicata alla conservazione dei beni culturali dell’8 per mille destinato allo Stato sarà utilizzata esclusivamente per interventi di ricostruzione e restauro del patrimonio culturale nelle aree colpite dai terremoti del Centro Italia. Anche nel corso del 2016 – anno segnato appunto dal terremoto – le città storico-artistiche, soprattutto quelle più grandi, si confermano nel loro potenziale attrattivo dei grandi flussi di turismo culturale. Il trend di crescita si consolida, dopo un aumento significativo che negli ultimi due anni ha interessato musei e siti archeologici. Inoltre, il turismo costituisce anche il driver principale per lo sviluppo di quelle start-up che si occupano del design di servizi ai visitatori e agli abitanti.

Io sono cultura – con i sui numeri e le sue storie, realizzato anche grazie al contributo prezioso di circa 40 personalità di punta nei diversi settori analizzati – scandaglia e racconta le energie nascoste dietro questi risultati. Attraverso un’idea di cultura fatta naturalmente di musei, gallerie, festival, beni culturali, letteratura, cinema, performing arts, ma anche di industrie creative e made in Italy: cioè tutte quelle attività produttive che non rappresentano in sé un bene culturale, ma che dalla cultura traggono linfa creativa e competitività. Quindi il design, l’architettura e la comunicazione: industrie creative che sviluppano servizi per altre filiere e veicolano contenuti e innovazione nel resto dell’economia – dal turismo all’enogastronomia alla manifattura – dando vita ad una cerniera, una “zona ibrida” in cui si situa la produzione creative-driven di cui abbiamo parlato, che va dalla manifattura evoluta, appunto, all’artigianato artistico.

Il rapporto, giunto quest’anno alla settima edizione, costituisce ormai un riferimento atteso per fare il punto sul ruolo della cultura e della creatività nel nostro Paese adottando le lenti dell’analisi dell’economia reale. Dal primo lavoro del 2011 si può affermare con soddisfazione che il tema “di cultura non si mangia” è ormai superato, e l’attenzione del mondo produttivo a questo sistema così articolato è decisamente cresciuta. Ed è un fatto recente che il Decreto Attuativo della legge 124/2015 di riforma delle Camere di commercio abbia assegnato al Sistema camerale una competenza specifica per “La valorizzazione del patrimonio culturale e promozione del turismo”: riconoscendo l’importante impegno di Unioncamere e del Sistema camerale nella valorizzazione del sistema produttivo culturale e creativo, sia attraverso azioni di studio e ricerca, come in questo Rapporto, sia sostenendo iniziative di rilievo in tutto il territorio nazionale.

Nelle performance economiche illustrate si possono cogliere i segnali di un fermento culturale ampio, che investe tutta la società e, per osmosi, l’economia. Si conferma la crescita in segmenti tradizionali che incrociano cultura e produzione, quelli che, per dirla con Carlo M. Cipolla, ci permettono di produrre all’ombra dei campanili cose che piacciono al mondo. Come il design: in Europa un designer su cinque parla italiano, sulle 32 categorie aggregate previste nella classificazione del Registered Community Design (lo strumento comunitario di registrazione dei progetti e disegni in ambito industriale) in 22 casi ci collochiamo tra i primi tre Paesi per numero assoluto. Design italiano sempre più globale anche grazie ad operazioni di sistema come quella che ha portato all’Italian Design Day, lo scorso 2 marzo, grazie al quale più di 100 ambasciatori del design made in Italy sono andati per il mondo a promuovere il nostro Paese. E che il design italiano sia sempre più globale, lo ha dimostrato anche la prima edizione del Salone del Mobile in Cina.

Ma l’Italia continua a crescere anche in segmenti in cui aveva accumulato ritardi in passato, recuperando terreno nel contesto internazionale: è il caso ad esempio del videogame, in cui si moltiplicano i soggetti indipendenti; dei settori dell’audiovisivo, per cui si cominciano a vedere gli effetti positivi del tax credit (che incentiva i privati ad investire nel settore, anche grazie ad un nuovo dispositivo che permetterà alla filiera di autofinanziarsi, sul modello di quello francese); o quello discografico, grazie all’apporto delle nuove tecnologie. Ma anche della tutela e valorizzazione del patrimonio, dove sono sempre più numerose le esperienze innovative messe in campo: di particolare interesse quelle che chiamano in causa il coinvolgimento delle energie della società. Tutti fenomeni che danno la cifra di una relazione pubblico-privato possibile nei confronti della cultura che va ben oltre il tema delle sponsorizzazioni. Le fondazioni bancarie continuano a svolgere un ruolo essenziale nello start-up di alcune delle esperienze più significative di collaborazione tra profit e no-profit, oltre che con le istituzioni. E a forme di mecenatismo più tradizionali si affiancano nuove forme di partecipazione privata nell’offerta culturale, attraverso la progettazione di landmark urbani e l’apertura di musei privati finanziati da progetti quali quello della Fondazione Alda Fendi, di Claudio Cerasi e di Ovidio Jacorossi.

Tutti questi segnali di fermento sono aiutati da riforme come quella dell’Art Bonus, il credito d’imposta introdotto nel 2014 a favore degli investimenti in cultura. Il cui più decisivo risultato sta – come abbiamo detto anche in passato – non tanto e non solo nei 5.216 mecenati con i loro 123 milioni di erogazioni liberali, per buona parte provenienti da interventi di micro-mecenatismo, ma nell’avvicinamento potenzialmente dirompente tra patrimonio storico artistico e forze della società. Che siano le imprese che fanno donazioni, o le aggregazioni sociali che donano tempo, energie e fantasia, questo avvicinamento ha in sé i germi di una maggiore responsabilizzazione delle comunità verso il patrimonio, quelli dello sviluppo di future collaborazioni creative e produttive che possono solo giovare al patrimonio stesso e all’economia. La produzione culturale stessa, svincolandosi dalle logiche promozionali e commerciali, assume i caratteri etici di un nuovo modo di fare cittadinanza elaborando il degrado e rifunzionalizzando siti in cui le risorse, le identità e le singolarità locali possono essere tramutate in esperienze.

E se la cultura si conferma un importante motore di sviluppo a livello mondiale (come dimostra ad esempio la crescita dell’export dei prodotti culturali e artistici europei rilevato dall’Eurostat tra il 2008 e il 2015; o, viceversa, la presa di posizione schietta della Creative Industries Federation e del gotha dell’architettura britannica in risposta all’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea) in quest’ottica va letto l’impegno del Parlamento Europeo per l’istituzione del Fondo di garanzia sui Prestiti, che attribuisce 122 milioni di euro a intermediari finanziari selezionati dal Fondo Europeo per gli Investimenti per consentire ai soggetti del settore culturale e creativo di accedere a finanziamenti a tassi interessanti e senza ricorrere a garanzie personali.

 

L’Italia in cammino che anima le pagine del presente rapporto non è da sola la soluzione ai mali antichi del Paese: non solo il debito pubblico, ma le diseguaglianze sociali, l’economia in nero, quella criminale, il ritardo del Sud, una burocrazia inefficace e spesso soffocante. Tuttavia proprio da questa Italia si possono attingere le risorse necessarie per affrontare quei problemi. Per cavalcare la ripresa che oggi, con un certo ritardo, si affaccia finalmente anche nel nostro Paese, l’Italia deve mettere in campo le sue energie migliori, quelle che la distinguono da tutti gli altri e ne fanno un Paese unico e ammirato: il saper fare, l’innovazione che non dimentica la tradizione, i saperi dei territori, la bellezza e la cultura. Proprio cultura e creatività possono essere, in questo tumultuoso inizio di secolo, la nostra chiave di volta: possono consolidare il ruolo di guida per gli altri settori produttivi, possono essere la missione del Paese, possono alimentare quel soft power – con tutte le conseguenze sul fascino dei nostri prodotti e dei nostri territori – che è il nostro più prezioso biglietto da visita nel mondo contemporaneo. La cultura può essere una forma di diplomazia anche economica, soprattutto nel quadro di quella che si sta configurando come la nuova Via della seta tra Oriente e Occidente. E la cultura ci permette anche di affrontare altri problemi che il tempo presente pone. Sono tanti i segnali che ci dicono che proprio la cultura è l’infrastruttura necessaria a gestire la complessità crescente del Pianeta: dalle migrazioni al terrorismo, dai cambiamenti climatici fino al rapporto con l’evoluzione convulsa della tecnologia. La nostra cultura, in questo scenario, può diventare la materia prima più quotata. L’Italia saprà avvantaggiarsene se crederà senza timidezze in sé stessa, nella sua storia, nei suoi talenti.

Ermete Realacci

Presidente Fondazione Symbola

Ivan Lo Bello

Presidente Unioncamere

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