Puglia Creativa ricorda Alessandro Leogrande: “La lezione di Alessandro”
E’ con queste parole che ieri durante l’Assemblea dei Soci di Puglia Creativa, la comunità dei creativi pugliesi ha voluto ricordare e rendere omaggio ad Alessandro Leogrande.
Sono nato alla metà degli anni settanta.
Ho iniziato a scrivere, per articoli via via più lunghi, poi per riviste e infine per i miei libri editi da vari editori, alla metà degli anni novanta. Sono un individuo venuto al mondo nel pieno di una trasformazione epocale. Se faccio molta attenzione ai modi di interazione con la realtà è perché sono uno scrittore di non-fiction. Nei libri che ho scritto partendo da elementi di realtà ho provato a sviluppare in una dimensione meta-giornalistica dei tessuti narrativi in un cui il reportage divenisse altro da sé, approdando a una dimensione letteraria. Per questo ritengo che ci sia un momento della raccolta e un momento della scrittura. Un momento per la raccolta di materiali e informazioni, e un momento in cui ci si mette alla scrivania per scrivere.
L’approccio alla realtà richiede, pretende, invoca ancora un contatto fisico.
Credo anche io che senza “gli altri”, come li chiama Kapuscinski, senza quella lunga catena di individui, di cui chi scrive è solo l’ultimo anello, difficilmente si potrebbe scrivere qualcosa. Allo stesso tempo credo che – per quanto siamo circondati da strumenti digitali che ci permettono di controllare una quantità sterminata di informazioni – la buona nonfiction si debba scrivere sempre con la suola delle scarpe. Andando nei posti, sentendo gli odori e gli umori, cogliendo l’aria del tempo o, più semplicemente, quella di un particolare luogo. L’importanza di tale approccio fisico alla realtà rimane inalterato anche per il reporter nel XXI secolo. Perdendo tale approccio, la scrittura ne risente inevitabilmente.
Io credo che da un lato sia completamente cambiato il rapporto tra politica, impegno e letteratura tale da vedere la necessità di figure come Pasolini, e in secondo luogo che ci sia stata una democratizzazione del discorso culturale, reso più pericentrico e senza più spazio per un vate. La polifonia poi non è un male, ma ha il rischio, certo, di sembrare confusione. Ciononostante oggi, figure che siano in grado di dire delle cose dissonanti, lucide – anche quando non hanno ragione – ci sono. Pensate a Giorgio Agamben, Goffredo Fofi, Guido Ceronetti; posso non essere d’accordo con alcuni, ma il valore del loro pensiero è reale.
Ecco, oggi mi sembra tutto un po’ troppo pervaso dal perbenismo, che crea uno stato di cortesia piuttosto ipocrita, riducendo l’atto di stroncatura, qualora si verifichi, a spari sulla croce rossa – il che francamente lo trovo anche inutile. Ecco, rispetto a questo stato di ipocrita progressismo di fondo, manca certamente un uomo che sbatta i piedi. Io credo che il punto in questo frangente non sia una dimensione di maggioranza o minoranza, ma che un’isola non tanto piccola – anche se non è e non potrà essere la maggioranza – abbia da sola la ragion sufficiente per esistere. La sfida è come migliorarla. Credo che fosse anche l’ultimo sulla terra e ridotto a cinque lettori, un giornale dovrebbe esistere, perché è l’unico modo per tenere aperta una finestra sulle complessità del mondo, non possiamo eliminare la possibilità di leggere il grande tessuto della realtà perché una fantomatica maggioranza non vuole farlo.
Occorre fuggire da “un indifferenziata simpatia con la realtà”, separare il grano dal loglio, individuando le linee di fratture. Come? Riconoscendo le contraddizioni. In altre parole, decidendo da che parte stare. Non solo la realtà è varia e piena di contraddizioni, e bisogna decidere sovente da che parte stare. La realtà è spesso incomprensibile.
Le motivazioni che spingono uomini e donne a fare alcune cose anziché altre, a volte paiono inspiegabili, sono difficili da decifrare. L’unico consiglio che sento di poter dare a un ventenne (che ha più o meno la stessa età di mio fratello più piccolo) è quello di continuare a leggere i romanzi di Philip Roth. E così quelli di Tolstoj o Dostoevskij. E così ascoltare la musica di Mozart, Bach o Bob Dylan. E così vedere i film più importanti della storia del cinema.
Perché proprio lì, confrontandosi con quelle opere straordinarie, può accorgersi come l’attenzione al cambiamento dei tempi sia sempre andata di pari passo con il rispetto dell’enorme complessità della dimensione umana. Forse la cosa più grande si dice con un silenzio. Come l’universo.
Alessandro Leogrande
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